IL QUARTIERE DELLE ANIME PERSE


C’era una volta una famiglia che viveva in un grande palazzo, con tante altre famiglie, e pochi alberelli spogli a fare da contorno a tutto quel cemento. La famiglia usciva di giorno, e rientrava di notte, ora in un portone, ora in un altro, erano tutti uguali. Anche perché una nebbiolina tenace e dispettosa permeava il quartiere, forse mandata da Qualcuno che provava pietà per quella anime perse. Fino a quando tutte le famiglie non uscirono più di giorno, si erano tutte addormentate, solo un ragazzo era uscito la mattina, e alla sera non ritrovò più nessuno. Scese nella cantina, una cantina qualunque, prese un barattolo di salamoia di cetrioli, poi lo guardò. Perché l’aveva preso? Si ricordava di un sogno dove una donna parlava a proposito di questo barattolo. Ma chi era la donna? E cosa doveva farci con il barattolo? Non ricordava bene, non ricordava affatto. Guardò la nebbia entrare nella cantina, alzò le spalle, e prese l’ascensore. Che strano, non c’erano pulsanti, eppure l’ascensore partì non appena le porte si furono richiuse. Salì e salì, il ragazzo depose il barattolo a terra, si sedette a sua volta, e aspettò. Con la coda dell’occhio vide (ma non c’era il muro?) altri ascensori nei palazzi adiacenti, salire e salire, ora scomparire nella nebbia, ora apparire nuovamente, ma sempre in alto, in alto, ancora più in alto. La testa ciondolò, immaginò tante teste ciondolanti, una per ciascun ascensore, e un lieve sorriso lo strappò un attimo al torpore, poi cadde, riverso, sul pavimento, accanto al barattolo. Fuori, la nebbia saliva, come gli ascensori, che infine scomparvero, ingoiati da nuvole e oscurità. E nella nebbia, la mattina seguente, il ragazzo uscì dal portone.

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