LADY OF WINTER


Sempre di corsa, fra un terminale e l’altro, da un aeroporto all’altro, in fila, seduto, steso, sveglio, addormentato, ansioso, preoccupato, uno fra miriadi di persone in moto perpetuo. Immagini, volti, mani, rumori, suoni, senza che niente permanga oltre un fuggevole contatto.

In corsa da un emisfero all’altro, da nord a sud, e poi ancora da sud a nord, poche settimane di lavoro, a volte un mese, e poi partire di nuovo.

Ci fu quella volta, di quella volta ho un vivido ricordo, in cui l’aereo subì un ritardo a causa della pista innevata. Questo disguido mi irritò alquanto, scostai la testa dal finestrino con uno scatto, e quasi colpii il passeggero al mio fianco.

Una signora elegante, avanti negli anni, con un lungo cappotto azzurro, capelli bianchi, occhi neri, profondi. Ricordo la sua voce, mi disse che non era accaduto nulla, avevo le mie esigenze, il lavoro, così importante per me. Ma lo disse in un modo che quasi mi fece vergognare di essere così compreso nel mio lavoro.

Poi mi addormentai, e quando mi svegliai, scesi, e non pensai più alla signora.

Ma adesso che ne parlo, i ricordi fluiscono, e rammento ancora un volo in cui ero a fianco di una giovane donna dai capelli rossi, un vestito verde e una voce che mi parve familiare.

Si può andare, mi disse, a spasso in tutto il mondo, senza però mai uscire di casa.

E dovunque andassi questa donna, giovane, bambina, anziana, era sempre presente, e sempre aveva una parola per me. La voce, quella era sempre uguale, pur nella diversità delle inflessioni e dell’età.

Corri, mi disse, ma il futuro non si avvicina, il passato non si allontana, nel presente corri, e nient’altro.

Passò un anno, e io ero sempre a correre fra Amazzonia, Sahara, Indonesia, Messico.

Una ragazza durante il volo verso le Fiji mi chiese quale lavoro facessi, e mentre rispondevo che fungevo da interprete e coordinatore dei progetti di una multinazionale, intesi ancora una volta la stessa voce.

Puoi parlare cento lingue, mi disse, e le parli certamente. E conosci, ma non parli, l’unica che conta.

Le chiese cosa intendesse, ma lei rispose in maniera ancora più sibillina.

Ti sposti sempre da un posto freddo ad uno caldo, ma non è così che allontani l’inverno.

Appena ebbe finito di parlare, ebbi un sussulto, forse a causa di un vuoto d’aria, e battei la testa con forza, perdendo i sensi.

Mi svegliai, ancora un sussulto, e sentii una fitta al braccio destro, si era staccata la flebo. Ero in un letto d’ospedale, e dalla porta semi aperta vedevo le sagome dei miei figli. Parlottavano, sembravano ansiosi, le ombre sul pavimento verde si muovevano a scatti.

Mia moglie non era con loro, non poteva esserlo.

Gli occhi, oramai li avevo aperti, li potevo chiamare, il mio inverno era finito.

Li chiamai, e già dal movimento delle ombre mi resi conto della loro sorpresa.

Entrarono urlando, il piccolo in braccio alla ragazza, il maschio un passo avanti agli altri, e capii dai loro sguardi che nessuno mi incolpava.

D’altronde, l’incidente era passato, il mio inverno era finito.

Quando i miei figli furono vicini al letto, mi guardarono e si zittirono.

Fu un attimo senza rumore, un solo leggerissimo sussurro dall’esterno.

Guardammo tutti la finestra, io con l’unico occhio, e riuscii a sorridere.

Fuori, copiosamente, nevicava.

Un pensiero riguardo “LADY OF WINTER

  1. Leggo e commento regolarmente il tuo blog da oltre 2 anni. In tutto questo tempo ti ho visto pubblicare tanti post – capolavoro, ma questa è senza dubbio una delle gemme più splendenti.

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